Si stima siano 5.000.000 le persone che, in Italia, soffrono di incontinenza. Di queste, il 60% sono donne. Uno studio inglese del 2005, stima che ne siano affette il 27% delle persone tra i 55 e i 64 anni, un’età sicuramente ancora giovane nella nostra Società. E stiamo parlando solo di incontinenza urinaria, abbiamo poi: ritenzione, prolassi, dispareunia, dolore pelvico cronico, stipsi, dissinergismo evacuativo… tutti quei problemi che riguardano il pavimento pelvico e che così pesantemente incidono sulla qualità della vita delle persone di ogni età!
Numeri notevoli, dunque, che, da soli, dovrebbero portare a riflettere sulle dimensioni del problema ma più ancora sulla non “unicità” di chi ne soffre. Non siamo di fronte ad una condizione eccezionale, meno ancora ad una “menomazione” che riguarda pochi. L’incontinenza è un tema molto diffuso che trova spesso ragioni nella fisiologia umana. Un tema che, per le sue stesse caratteristiche e le sue dimensioni, produce terribili impatti umani, sociali e economici.
L’impatto umano di chi ne soffre e ne sente tutto il peso: disistima personale, vergogna, paura di puzzare, di essere riconosciuto, senso di perdita di controllo sulle funzioni base dell’organismo, con conseguenti modifiche di abitudini di vita, problemi nelle relazioni familiari e personali, limitazione o cessazione delle attività fisiche, rinuncia all’attività sessuale, ansia e depressione.
L’impatto sociale che deriva dal bisogno di isolamento e di nascondimento.
L’impatto economico individuale e sociale. I costi personali per gestire questa condizione ma anche quelli che derivano dal suo conseguente assenteismo dalla vita lavorativa. A questi si devono aggiungere i costi sociali: quelli a carico del Servizio Sanitario Nazionale per la fornitura dei presidi e per il loro successivo smaltimento e quelli per la gestione della malattia e delle sue complicanze. Perché di incontinenza non si muore ma l’incontinenza uccide la vita!
L’incontinenza urinaria è uno dei tre giganti dell’invecchiamento, insieme alla confusione mentale e alle cadute per inadeguato controllo posturale ma, secondo una ricerca del 2004 negli Stati Uniti, le donne che ne soffrono attendono oltre sei anni prima di farsi visitare e gli uomini oltre quattro.
Eppure, la maggior parte dei casi di incontinenza e di disturbi del pavimento pelvico può essere trattata con successo. Quasi sempre con terapia conservativa, basata sulla riabilitazione accompagnata, se necessario. dal supporto farmaceutico. Sì perché riportare in condizioni di corretta efficienza i tessuti del pavimento pelvico non è in fondo molto diverso dal cercare di tonificare i muscoli di un corpo che, col tempo, come è inevitabile, tendono a perdere tono, elasticità e forza e, quindi, a non svolgere più, come prima, la loro funzione.
Allora, se siamo di fronte ad un problema così diffuso, se si tratta di un problema con conseguenze così pesanti sulla vita della persona e della Società, se è possibile curarlo con buone possibilità di successo, senza interventi invasivi, come si spiega tutto questo?
La risposta è una sola: cultura. E, naturalmente, su un disturbo tanto delicato che tocca aspetti così intimi e privati della persona, fare cultura, favorire l’uscita dal cono d’ombra della vergogna non è cosa facile. Attraverso questo percorso bisognerà però passare se è vero, come dice l’OMS, che “salute è stato di completo benessere fisico, psichico e sociale” perché non è possibile negare a oltre 5.000.000 di persone di tornare alla serenità e alla salute.
Condizioni non raggiungibili certo con l’uso di quel pannolino che permette di non puzzare in ascensore.